De Signs Arezzo / vol.2
Arezzo è città dall’architettura variegata quando non estemporanea, le origini sono etrusche e romane ma della lucumonia e dell’urbe oltre a sporadici reperti non permangono tracce significative, libero comune nel medio evo i ghibellini di Arezzo vengono sconfitti a Campaldino, il Vescovo Tarlati riporta una certa prosperità e potenza ma infine la città viene assoggettata dai Medici che con Cosimo demoliscono quanto testimonia della precedente autonomia e si erige l’attuale cerchia muraria e la Fortezza.
Tra i secoli XVII e XIX l’interno delle mura appare disomogeneamente spalmato di case, orti e corsi d’acqua, l’agglomerato, costruito a semicerchio a monte della via Sacra ove si sgranano chiese e conventi, si inerpica sulla collina dove insistono i palazzi del potere civile e religioso, fuori dalla cerchia campi, acquitrini e montagne. Nel periodo del governo Asburgo Lorena, che primi in Europa nel Granducato di Toscana aboliscono la pena di morte, si riforma l’agricoltura, bonificano valli e aprono strade.
Dopo l’unificazione del Regno d’Italia la costruzione della ferrovia che collega Roma e Firenze favorisce la movimentazione di merci e persone, i nuovi assi viari sconvolgono l’antica trama e abbattono quartieri ambendo a tracciare una città moderna, adatta all’aumentato traffico, pronta alla rivoluzione industriale e opifici e centrali elettriche già lambiscono la città. Il periodo tra le guerre oltre ai danni causati dagli eventi, non risparmia interventi che ridefiniscono la parte antica inserendo particolari d’invenzione che impongono un aspetto fuorviante; il profilo cambia e l’abitato cala a valle, scavalca quel che resta della cinta muraria e si dipana a raggiera lungo le principali direttrici.
Oggi nel centro storico non si percepisce unità di linguaggio, difficile individuarvi epoche di riferimento, immancabilmente l’immagine soggiacente è permeata da contaminazioni e stravolgimenti, usi e abusi e l’impressione che ne consegue è risultante di una sommatoria di temi accolti inconsciamente ed elaborati con azione di rimozione e sostituzione.
Questa condizione anziché sottaciuta va accettata e riconosciuta quale espressione del pensiero e dell’opera di chi quelle modificazioni ha prodotto e pietra miliare da assimilare e declinare per definire un’immagine futura. Rappresenta malgrado tutto, l’unica, attuale e vera imago urbis.
Questo progetto si proponeva inizialmente di raccogliere fotograficamente recuperandone il messaggio identitario, i segni meno noti scolpiti, affissi e presenti nelle facciate degli edifici del centro storico di Arezzo destinati altrimenti a marginalità e perdita inesorabile. Muovendo da questo assunto il lavoro ha superato il mero regesto di singoli elementi e girando per piazze, parchi, strade e vicoli lo sguardo si è affinato scoprendo scorci, particolari, elementi di varia epoca, funzione e materia; una miriade di particolari che detengono un ruolo non secondario nella composizione della scenografia urbana.
Una visione impressionista della città che lascia sullo sfondo i grandi monumenti, torri, palazzi, chiese e le opere universali e sfrutta questo contrappunto per esaltare la moltitudine di segni, elementi, assonanze e dissonanze che concorrono a definire il percetto.
Fontane panchine balconi, campanelli maniglie portoni, sculture bassorilievi decorazioni, ringhiere emblemi tombini, tutto è raccontato con rigore e rispetto. Architetture e interferenze, luce e ombra, ordine e disordine, dialogano con un linguaggio che esprime unicità e intima bellezza. Alfabeti ricavati da rare persistenze su insegne e targhe, trasformati in caratteri utilizzabili liberamente, contribuiscono a mantenere e trasmettere identità e genio.
Una ricerca che rifugge da cedimenti nostalgici, resiste a poggiarsi sulle cartoline di cui la città è pur generosa; il sapiente utilizzo della luce sia naturale alle diverse ore del giorno sia artificiale di fari e lampioni enfatizza forme e volumi proponendo sguardi inusuali che si è stimolati a ricercare per trovarvi aspetti altri, aspetti nostri. Il vuoto di persone e mezzi crea uno spazio dove tutto pare già accaduto o di attesa, dove tutto sembra ancora possibile.
L’immagine di una città è il risultato dell’insieme spontaneo od organizzato di edifici e strade, vuoti e pieni, compendi sia funzionali sia di abbellimento. La percezione che se ne riceve è soggettiva, condizionata dal momento e dallo stato d’animo, la sua comunicazione dipende dalla finalità e spesso è parziale o arbitraria.
Questa pubblicazione, circoscritta al solo ambito urbano, lontana dall’essere esaustiva e che anzi auspica la continuazione e diffusione del concetto, rappresenta un atto d’amore che ogni luogo merita e speriamo di essere riusciti a trasmettere affetto ed entusiasmo per stimolare curiosità e meraviglia, analisi e critica, necessari e non sufficienti per comprendere e apprezzare i posti che ci accolgono.